DOMANDE

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1) La voce, la voce ha uno strano destino. Da unico possibile ponte tra gli Dei e gli uomini, fu trasformata da certa filosofia (vedi Aristotele ma anche Pitagora) in qualche cosa di quasi abietto. Parlo logicamente della voce come grido, come strillo, lamento, non della voce "scolarizzata" ed impostata del Bel Canto. Nella tua musica, in quasi tutta la musica da te composta negli anni 90, anche là dove la voce non compare come strumento solista è essa tuttavia presente in forma di dialogo costante con lo strumento musicale, oppure come sussurro, respiro.

Quale senso ha la voce nel tuo processo creativo?

La voce è intesa da me come l'essenza del nostro essere uomini. Come tu dici "unico possibile ponte tra gli Dei e gli uomini" la voce è per me il "Verbo", che possiede un immenso potere creativo e distruttivo. Una volta ho avuto la fortuna di parlare a quattr'occhi con Giacinto Scelsi nella sua casa di Roma: mi parlò di come lui negli anni 20 fosse andato in India a cercare una via spirituale alternativa all'occidentale attraverso lo studio dello Yoga, e mi disse che lì imparò che la voce, nel senso sopra inteso, poteva dare la vita, ma anche la morte, e che lui aveva testimoniato come questo era possibile.

Quando scrivo la mia musica uno dei miei obbiettivi è di "far parlare" gli strumenti coinvolti, quasi di umanizzarli, perché credo che solo così la mia musica possa entrare nel cuore di chi ascolta. Se poi la voce è già nell'organico cerco di lasciargli la massima libertà espressiva. I testi che scelgo sono perlopiù in prima persona, e io vorrei che il (o la) cantante li reciti (canti) come se parlasse. Un punto importante è l'individuazione dei caratteri umani che armonizzino la personalità dell'interprete, anche nel caso strumentale, con l'espressività dell'opera.

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2) Che differenza c'è tra respiro e canto nella tua musica?

Il respiro, in partitura "la pausa", ha un valore almeno uguale al canto, o in genere all'espressione musicale (anche strumentale) che lo circonda. Respiro e canto sono profondamente legati uno all'altro, perché uno non può esistere senza l'altro. Quando ho studiato canto mi è stato detto che nel respiro che precedeva l'emissione vocale dovevo cercare il suono che stavo per fare: più questo suono era presente dentro di me in quel respiro, più reale e convincente sarebbe stato il suono che ne sarebbe uscito. Quasi come se attraverso il respiro si dovesse raccogliere (assorbire) dall'esterno quel suono che subito dopo sarebbe dovuto uscire.

Ogni espressione comunicativa necessita di una fase di trasmissione dei dati da parte della sorgente (il canto, la parola), seguita da una fase di elaborazione e comprensione dei significati trasmessi da parte del ricevente (il senso musicale, il concetto). L'equilibrio fra la densità degli elementi di una partitura, che produce l'essenziale opposizione di respiri e canti, e che in ultima analisi definisce la "forma" della composizione, gioca un ruolo decisivo nella capacità comunicativa dell'opera. Il respiro che precede il soffio creativo (il verbo) contiene in sé tutta la potenza del suo atto, mentre il silenzio che ne segue è l'unico atto possibile che ne permette l'espressione ed il completamento.

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3) Tu hai studiato musica elettronica a Basel con Thomas Kessler, esperienza certo importante per te, tuttavia a me pare tu faccia un uso costante ma allo stesso tempo molto limitato del mezzo elettroacustico nelle tue composizioni. È questa una scelta estetica?

Ho sempre pensato che il mezzo elettronico debba essere uno degli strumenti del compositore attuale. Uno dei mezzi, come il contrappunto, o la tecnica minimale, che però non deve essere l'unico mezzo espressivo, né deve essere sempre presente in ogni lavoro (come del resto qualsiasi altro mezzo). La strumentazione elettronica permette un lavoro molto profondo sul suono, che può portare all'avvicinamento delle sue radici, ma anche alla totale dispersione delle sue potenzialità comunicative e musicali.

Dopo un periodo di avvicinamento a tutte le possibilità tecniche ed espressive dell'elettronica musicale, avvenuto negli anni ottanta, mi sono orientato decisamente per delle scelte che si accordavano con la mia considerazione del senso musicale. Primo obbiettivo della musica è per me la comunicazione, e questa può avvenire quando un uomo si rivolge ad un altro uomo attraverso la musica. Per questo nelle mie musiche l'elettronica è sempre un elemento vitale, quasi mai fissato su un nastro, ma profondamente legato ai modi espressivi, ed ai suoni di strumenti reali suonati dal vivo. Anche lo strumento elettronico deve avere il suo interprete, e quindi la forma con la quale mi esprimo attraverso l'elettronica è quasi sempre il "live electronic". Attualmente non trovo interessante per la mia musica l'utilizzazione del suono sintetico. Anche se continuo ad interessarmi degli sviluppi tecnici, sono convinto che il valore di un suono naturale è immensamente più grande di quello che si riesce a fare con gli strumenti attuali, e che passerà ancora altro tempo prima che possiamo "creare" degli strumenti che generino dei suoni sintetici con un valore musicale paragonabile a quelli naturali.

L'uso dell'elettronica dal vivo richiede d'altra parte un grande dispiego di mezzi tecnici e una esperienza notevole: a causa di questo vi sono normalmente poche occasioni dove si possono trovare le condizioni di eseguibilità di musica con il live electronic con una garanzia professionale di riuscita. Ho avuto la fortuna di essere ospite dello Studio di Musica Elettronica di Basilea, che svolge una gran parte della sua attività nel campo del live electronic (con i "Tage für live-elektronische Musik Basel" di quest'anno sono arrivati alla settima edizione di questo festival), dove ho potuto orientarmi decisamente verso le mie scelte attuali, e ho veramente imparato molto.

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4) Esiste un lavoro di collaborazione diretta, di interazione tra te, compositore e l'interprete/i delle tue musiche? In questo caso in che modo si esprime?

Il rapporto fra il compositore e l'interprete è sempre stato un punto importante nel processo compositivo, ma oggi è più che mai essenziale che l'interprete prenda parte attiva al processo creativo. Nei miei lavori meglio riusciti c'è alla base un lungo lavoro interattivo fra me e l'interprete (per esempio il pezzo per chitarra e live electronic "Tap" costituisce un modello di questa collaborazione). Il primo passo è la conoscenza del futuro interprete: il suo background, le sue capacità tecniche, i suoi gusti musicali, i suoi punti forti e le sue carenze, le sue capacità improvvisative, il suo giudizio su altri miei lavori precedenti, e poi ancora la sua reale capacità di lasciarsi coinvolgere in un lavoro inizialmente ingrato, dove non si vede la fine e si va avanti per intuito, la sua disponibilità a studiare ed inventare nuove tecniche, il suo tempo Insomma una quantità di fattori legati alla personalità dell'interprete ed alle condizioni contingenti della creazione ed esecuzione del futuro pezzo di musica determinano il modo con cui poi ci si mette a lavorare.

Il compositore deve trovare delle soluzioni reali fra una sua idea di musica e tutte queste condizioni: non deve tanto "inventare" nuova musica, ma deve saper "ascoltare" la musica esprimibile dall'interprete e trovarle un modo di uscire qui sulla terra attraverso di lui. Tutto questo richiede in ogni caso molto tempo e buona volontà, ma soprattutto una flessibilità che permetta di rinunciare a una parte delle proprie idee per lasciar spazio a idee dall'altro.

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5) Ho l'impressione che attraverso la musica tu voglia - come direbbero i buddisti zen - "ritornare a casa".

Mi sembra di percepire in essa la tendenza tutta spirituale verso un centro, tendenza che è soprattutto ricerca di quel centro che la musica occidentale ha inesorabilmente "perduto" forse già a partire dal primo barocco ma che poi, miracolosamente, era sembrato ritrovare nei tentavi acustici (di creazione e di sperimentazione) degli anni post-Webern. Penso a certi lavori di Stockhausen di Feldman, Cage, Maderna, Scelsi e pochi altri. Ma oggi, e già da moltissimi decenni, siamo ritornati indietro, il cosiddetto postmodernismo viene impropriamente applicato alla musica volendo in questo modo inquadrare musiche che non hanno "anima", musiche che sono revival (il neoromanticismo è solo un esempio), musiche prodotte unicamente pensando alla possibile esecuzione. Cosa ne dici tu?

Sono contento di trovare in te una sorta di "ascoltatore ideale" della mia musica, nel senso che tu ci hai potuto trovare l'essenza di quello che io ho cercato di fare. Un lungo lavoro di riflessione e di indagine spirituale mi ha orientato nella formazione dei miei strumenti compositivi. Alcuni degli autori che tu citi possono essere i miei maestri ideali, che con la loro esperienza mi hanno aperto le strade che oggi percorro. La "Musica" nel mio senso più profondo è (come per Pitagora) l'armonia delle sfere, il suono dell'universo, l'eco di quel verbo primordiale che col suo suono ha creato tutto, e il compositore non è altro che un intermediario tra il mondo dove questa Musica suona (il Devachan, secondo la filosofia induista) e la nostra terra. Secondo la filosofia antroposofica (R. Steiner, L'essenza della musica) tutti gli uomini provengono da questo mondo spirituale dove risuona l'armonia delle sfere, e ci torneranno quando lasceranno la terra. Nel loro soggiorno terrestre vi ritornano però ogni giorno, o meglio ogni notte, quando dormono nel sonno più profondo senza sogni. Ogni giorno tutti non possiamo fare a meno di immergerci in questa dimensione musicale/spirituale che ci ricarica e ci permette di vivere sulla terra.

Tutti gli uomini riconoscono perciò molto bene il valore di questa "Musica". Solo pochi hanno sviluppato una attitudine particolare a "ricordare" un eco di questa armonia e quindi con una tecnica adatta al tempo ed al luogo dove vivono a cercare di "materializzarla" ed incarnarla in onde sonore. Il lavoro del compositore è quindi quello di portare qui sulla terra, e nello stato di veglia, il ricordo di quel mondo dove il nostro spirito ha dimorato prima di nascere in armonia con l'universo, insomma giustamente come tu dici la musica così scritta ci fa "ritornare a casa". Questo va al di sopra di tutte le mode e correnti della storia della musica, e i compositori che riescono a farlo scrivono "Musica".

Purtroppo le condizioni per le quali un compositore riesce a esprimersi e a diffondere la sua opera dipendono minimamente dal reale valore e dai contenuti di questa, così posso dire che nella situazione attuale della musica occidentale il senso della mia musica così come sopra è descritto non è nella corrente che domina la scena culturale. Attualmente i valori che hanno spazio sono legati alla possibile diffusione immediata (senza riflessione) dell'opera, primo dei quali la "visibilità", la "spettacolarità" e "multimedialità", nonché la vendibilità.

Vi sono poi dei tabù indotti dalla situazione socio/culturale, che limitano la capacità di giudizio degli operatori culturali, i quali sono poi quelli che in ultima analisi decidono chi e quando possa salire sul palcoscenico, e che di fatto portano al rifiuto di tutti quei lavori che anche implicitamente fanno riferimento ai valori spirituali della musica, valori per me imprescindibili. Il risultato è che in questi ultimi decenni i compositori hanno scritto sempre meno "Musica" e sempre più note e suoni. Per dirla breve la capacità di scrittura delle note musicali si è quindi sviluppata disgiunta dalla capacità di scrivere musica, con uno squilibrio tutto a vantaggio del tecnicismo e del virtuosismo.

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6) Che differenza c'è tra sentimento e percezione nella tua musica?

Il sentimento e la percezione sono due fasi del processo di comunicazione della (mia) musica. La percezione del suono e delle sue qualità, è legata ad una strategia dialettica con la quale questo viene proposto, e il risultato migliore che si può ottenere è che questa percezione profonda risvegli il sentimento. Purtroppo il sentimento fa parte di quei tabù che attualmente orientano negativamente le scelte degli operatori musicali, per cui la musica che lo evoca è spesso relegata al silenzio.

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7) A mio giudizio la musica che esprime sentimenti (una parola che é limitata) è una musica di atmosfera, di descrizione. La musica è forse l'arte in cui, più di ogni altra, si annuncia l'utopia, l'incontro con il Sé.

Non é forse per questo che la musica si limita a promettere: che noi non ci possediamo, non ci apparteniamo, e dobbiamo ascoltarla per ascoltarci? È vero che la musica è l'ultima delle arti, come sosteneva Nietzsche, ma perché è la più giovane. È la più vicina all'uomo in quanto gli si è da poco staccata, ed è anche la più lontana perché dovrà percorrere la strada più lunga per tornare a lui.

La storia della musica diventa allora la storia di come la nostra civiltà ha ascoltato il proprio Sé. Ma in questo senso una storia periodizzabile della musica non esiste affatto.

La musica è il suono che noi creiamo perché torni infinitamente a noi ed ha come meta il Sé nella forma dell'ascolto. Genesi e Apocalisse, inizio e fine dei tempi la circoscrivono. L'ultimo squillo di tromba di Giovanni si incarna così in quello che Beethoven fa risuonare nel finale del Fidelio, e che ferma la mano assassina di Don Pizarro perché ferma il tempo ed introduce i prigionieri liberati alla namenlose Freude, alla gioia senza nome dell'incontro con il Sé.

Chiedo scusa per il pensare troppo astratto ma.. tu cosa pensi di questo?

Sento quanto affini sono i nostri modi di considerare la musica. Trovo infatti che la mia visione spirituale della musica non è che una variante di quello che presenti con il tuo "pensare tropo astratto". L'incontro con il Sé può essere visto come l'incontro con quella parte del nostro essere in contatto con il mondo dell'armonia delle sfere, che poi è in fondo quello che riconosce la musica terrena e la assimila a quella spirituale. È proprio per questo che nell'incontro con questo Sé non possiamo più sentirci unità separata dal tutto, ma parte di un qualcosa che ci contiene insieme al tutto. La musica non è soltanto un'arte, ma è una forma di conoscenza della natura, in particolare della natura umana, che secondo la concezione antroposofica acquisterà nel futuro lo stesso valore che ha adesso la Scienza e quello che ha avuto in era precedente la Religione.

Voglio provare ora a fare una proiezione fantascientifica per rispondere alla tua riflessione sulla storia della musica come storia di come l'umanità ascolta il proprio Sé. Pensando a cosa era la scienza nei suoi rudimenti, quando era riservata a pochissimi sapienti (per esempio Pitagora o Euripide), e come si è sviluppata e poi come oggi ha cambiato la nostra realtà e la maniera di vivere, provo a immaginare qualcosa di analogo per la musica. Come prima era inimmaginabile il grandioso sviluppo che ha portato la scienza sulle vette più alte dello scibile, così lo è oggi quello che avrà la musica del futuro.

Per fare un esempio con un po' di fantasia, si può forse immaginare un mondo fra mille o più anni dove la musica ha un avrà una funzione sociale aperta ad altri campi che solo oggi si intravedono, come la musicoterapia (per esempio una musica che evoca un sentimento così grande da influenzare positivamente il recupero di persone che hanno subito traumi), e ancora in una sua estensione nella riabilitazione di persone che hanno compiuto crimini contro la società, e chissà quant'altro! Quando la società si sarà rivolta ad ascoltare il proprio Sé queste idee che oggi appaiono assurde avranno forse un senso.

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8) Il "mondo" secondo Martin Heidegger, viene evocato dalla parola poetica, nel suo quadruplice indirizzarsi al cielo, alla terra, ai divini e ai mortali. L'unione delle cose e del mondo è marcata dalla differenza tra loro (che Heidegger indica come differenza per sottolinearne il carattere assoluto).

Ma questa differenza è una Chiamata, sulla quale si fonda ogni chiamare operato dal linguaggio, e "il chiamare che la Chiamata serba raccolto in sé, e il cui esplicarsi è appello a raccolta presso la Chiamata, è il suono in quanto suono" (In cammino verso il linguaggio). La Chiamata è il suono della quiete che da essa è reso possibile, parla in quanto suono della quiete.

Il parlare è possibile solo nell'ascolto del linguaggio, dice Heidegger, la musica può essere possibile solo nell'ascolto del suono, del suono fisico e sensibile e del suono che permane nel linguaggio senza assoggettarne l'essenza.

Ma chi produce questo suono?

Nasce dal Sé o ne è la condizione che ne rende possibile la nascita? Non è un Sé psichico, né autocoscienza singola o collettiva, no, bisogna aggiungere un altro aggettivo: un Sé cosmico. È il tuo processo creativo inserito in questa relazione?

Provo, se fosse possibile farlo con le parole, a dare una traccia del mio processo creativo. All'origine sta un'idea che non è suono, e non è collegata né a voci né a strumenti. Questa essenza musicale, avanti a tutto è pensabile forse come la "Chiamata" da te citata. Questa Chiamata, questo suono della quiete è il primo punto del lavoro del compositore, e lui deve saperlo ascoltare. Il primo livello della sua materializzazione è quindi la sua umanizzazione, che viene ridotta concettualmente in un ciclo di metafore dei nostri sentimenti e della nostra condizione umana quotidiana rispetto (come tu dici) all'unione fra le cose ed il mondo. Dopo si cerca di individuare quei suoni e quei gesti che possano rappresentare queste metafore nello svolgersi della loro forma, e si considerano diversi organici e/o gesti interpretativi vocali e strumentali. A questo punto, verificate le condizioni materiali che permettano poi l'effettiva realizzazione dell'opera si può iniziare a scrivere.

Questa fase preliminare del processo creativo avviene lentamente e spesso indipendentemente dalle reali occasioni che poi si incontrano nella realtà. Quando queste poi si realizzano il compositore sceglie normalmente di adattare il suo "canto interno", risultato di un precedente lavoro sopra descritto, alla situazione attuale, e quindi di scrivere il suono così progettato.

Il Sé, l'incontro con il Sé, la considerazione del compositore sulle metafore del pensiero nella sua condizione umana, sono le tracce che questo suono attraverso la sua forma descrive. Per rispondere alle tue domande si può dire che il Sé, quando è ascoltato dal compositore, rende possibile, nel senso che evoca la nascita di questo suono. Questo Sé è giustamente un Sé cosmico perché non può essere riferito ad un uomo in quanto TUTTI e forse TUTTO vi è incluso.

 

<Sento di nuovo quanto finemente il tuo senso della musica è vicino al mio, ma non so se la pubblicazione di questo testo risulti intelligibile a quelli che lo leggeranno>

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9) Gli uomini non fanno musica solo per ascoltare il loro Sé ma anche per rispondere all'appello del suono.

L'uomo è delimitato dall'infinito: esso quindi lo forma. Gli è di confine. Ma ciò che è di confine appartiene sia a ciò che confina sia a ciò che è confinato.

Quindi l'uomo è l'infinito.

Cosicché l'infinito (macrocosmo) è il simbolo dell'uomo e l'uomo (microcosmo) è simbolo dell'infinito.

Il merito della musica è il suo paradossale accadere: è lingua del rumore, quindi del non-linguistico, e non-lingua del linguaggio.

"- Il non-significato della musica- ha scritto Pierre Boulez - è irrimediabilmente la nostra forza specifica; non perderemo mai di vista che l'ordine del fenomeno sonoro è primordiale: vivere quest'ordine è l'essenza stessa della musica -" (Pensare la musica oggi). Sei d'accordo con lui?

Il concetto della musica dove "l'ordine del fenomeno sonoro è primordiale", e il suo "non-significato è irrimediabilmente la sua forza specifica", è una interpretazione che pone il fenomeno musicale al di fuori delle categorie ordinarie della nostra vita, in una relazione diretta con la nostra più profonda essenza umana. Sul "non-significato" della musica vorrei però aggiungere qualcosa.

Si è dibattuto lungamente sul significato della musica, e su tutti i possibili raffronti fra i linguaggi naturali di comunicazione dell'uomo e i linguaggi musicali. Il significato come fatto cognitivo della musica (per me) esiste, ed è determinato dalla sua forma, a differenza del valore cognitivo delle lingue naturali che si rifanno ad un codice predefinito a priori (dizionario). Questa facoltà di possedere un significato distingue il fenomeno sonoro della musica da ogni altra forma logica di successione di suoni, come per esempio i suoni della natura. L'organizzazione del rumore all'interno del linguaggio musicale, come la disintegrazione di un testo letterario a favore di un risultato musicale dei suoni dei suoi fonemi sono due aspetti di questo paradosso che descrivi come "lingua del rumore, quindi del non linguistico, e non-lingua del linguaggio".

La possibilità che porta una successione di suoni organizzati ad avere (e di conseguenza a poter esprimere) un valore cognitivo, è legata alla loro costruzione formale entro un sistema autoreferente di grandezze temporali ed energetiche, dove i singoli elementi mostrano una chiara capacità di essere percepiti come entità opponibili o meglio detto distinguibili. Il processo che poi porta questo significato ad entrare e raggiungere il profondo della coscienza umana, è ricondotto alla percezione della metafora che lega gli elementi distinti che costituiscono la musica (che scandiscono il fluire del tempo esterno in una molteplice relazione di proporzioni) con la coscienza di chi la percepisce. Il tempo della relazione "Musicale" percepibile dall'esterno con il nostro udito, deve avere una struttura formale assimilabile al flusso della successione di emozioni all'interno della nostra coscienza, scandito della memoria umana come il tempo interno, in modo da lasciare immedesimare la coscienza con questo flusso esterno fino quasi ad identificarsene.

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10) Così più che interpretata la musica va forse percorsa; percorsa come via al Sé simbolico, lungo il confine tra principio di individuazione e totalità dionisiaca, vicinissima ad entrambi e da entrambi sempre da ritrovare.

Essa rimanda alle totalità complementari del linguaggio e del non-linguaggio, dell'anima individuale e del cosmo. Svela la dimensione non linguistica del linguaggio e la dimensione cosmica del soggetto dentro il quale risuona.

Anche per questo la musica è universale, incontrastata dominatrice del paesaggio sonoro dell'era della comunicazione dei linguaggi. Per questo è universalmente prodotta, diffusa, cercata, amata, consumata. Essa è necessaria.

Qual´é il tuo rapporto con il suono, il rumore anche -prima- che questi si faccia musicale?

Il suono che mi circonda, della città, della natura, della gente, delle prove di un gruppo di musicisti, come del resto il suono di un concerto mi affascinano sempre. Credo di avere un rapporto molto stretto con il suono in generale, che si esprime poi attraverso la mia esperienza compositiva. Ho però ancora tante cose incompiute che vorrei realizzare con questo: da almeno 5 o 6 anni ho infatti collezionato una quantità di suoni (o rumori?) della natura e della gente della mia terra natia, e penso sempre che vorrei comporre un poema sonoro che trasporti l'ascoltatore in un viaggio immaginario fra le onde del mare, gli uccelli, le feste di paese, e tante altre cose suggestive che animano la voce della mia terra. Già ho fatto in piccolo qualcosa di simile per sonorizzare alcune scene di opere coreografiche, ma sarei felice di rimettermi al lavoro, e forse trovare degli strumenti della musica elettronica che soddisfino le mie esigenze fino a creare un nuovo lavoro di musica concreta e sintetica.

Quando cerco il suono/rumore per la mia musica, sia che sia a "caccia" con microfono e registratore, sia che stia facendo una prova con un interprete, cerco di assorbirlo come se già fosse musica, per appropriarmene e sentirlo come già parte della mia opera. La ricchezza di questo suono è sempre immensa, e la sua imprendibilità si manifesta a me ogni volta con un nuovo volto.

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11) Come al tempo dei sacrifici vedici doveva la musica rendere lode agli Dei creatori per ristabilire l'equilibrio che il loro sacrificio aveva turbato, così oggi essa costituisce un gigantesco dispensatore di non-senso, un miracoloso dispositivo riequilibratore della disseminazione forsennata di messaggi, informazioni, notizie e ordine che "creano" e tengono in vita il tessuto della nostra civiltà. Ogni decisione estetica o politica che la coinvolga deve tener conto in primo luogo di quale è l'ecologia culturale che tale decisione verrà a turbare.

Ma la musica, come già altre volte, eserciterà la sua funzione più profonda dove meno la si aspettava, dove sembrava impossibile ricondurla al significato.

Le è stata concessa una grazia inalienabile: attenderci nel luogo in cui, come ha meravigliosamente scritto Paul Celan in una delle sue ultime poesie:

Per un non-
segno
tu sei più avanti
di tutti
loro.

 

Dopo tutta questa profonda apertura delle nostre anime, non voglio aggiungere altro (tra l'altro in questa undicesima domanda manca il punto di domanda!). Anzi ti chiedo di togliere, di sfoltire e di raffinare (se questo non si potesse forse basterebbe stralciare) tutto quello che ho scritto, perché attraverso la tua esperienza di pubblicista si trasformi in un qualcosa di fruibile per il lettore che ci metterà gli occhi sopra.

Con tanti cari saluti

Giorgio

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