DOMANDE
1) La voce, la voce ha uno strano destino.
Da unico possibile ponte tra gli Dei e gli uomini, fu trasformata da certa
filosofia (vedi Aristotele ma anche Pitagora) in qualche cosa di quasi abietto.
Parlo logicamente della voce come grido, come strillo, lamento, non della
voce "scolarizzata" ed impostata del Bel Canto. Nella tua musica,
in quasi tutta la musica da te composta negli anni 90, anche là dove
la voce non compare come strumento solista è essa tuttavia presente
in forma di dialogo costante con lo strumento musicale, oppure come sussurro,
respiro.
Quale senso ha la voce nel tuo processo creativo?
La voce è intesa da me come l'essenza del nostro
essere uomini. Come tu dici "unico possibile ponte tra gli Dei e gli
uomini" la voce è per me il "Verbo", che possiede
un immenso potere creativo e distruttivo. Una volta ho avuto la fortuna
di parlare a quattr'occhi con Giacinto Scelsi nella sua casa di Roma: mi
parlò di come lui negli anni 20 fosse andato in India a cercare una
via spirituale alternativa all'occidentale attraverso lo studio dello Yoga,
e mi disse che lì imparò che la voce, nel senso sopra inteso,
poteva dare la vita, ma anche la morte, e che lui aveva testimoniato come
questo era possibile.
Quando scrivo la mia musica uno dei miei obbiettivi è
di "far parlare" gli strumenti coinvolti, quasi di umanizzarli,
perché credo che solo così la mia musica possa entrare nel
cuore di chi ascolta. Se poi la voce è già nell'organico cerco
di lasciargli la massima libertà espressiva. I testi che scelgo sono
perlopiù in prima persona, e io vorrei che il (o la) cantante li
reciti (canti) come se parlasse. Un punto importante è l'individuazione
dei caratteri umani che armonizzino la personalità dell'interprete,
anche nel caso strumentale, con l'espressività dell'opera.
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2) Che differenza c'è tra respiro
e canto nella tua musica?
Il respiro, in partitura "la pausa", ha un valore
almeno uguale al canto, o in genere all'espressione musicale (anche strumentale)
che lo circonda. Respiro e canto sono profondamente legati uno all'altro,
perché uno non può esistere senza l'altro. Quando ho studiato
canto mi è stato detto che nel respiro che precedeva l'emissione
vocale dovevo cercare il suono che stavo per fare: più questo suono
era presente dentro di me in quel respiro, più reale e convincente
sarebbe stato il suono che ne sarebbe uscito. Quasi come se attraverso il
respiro si dovesse raccogliere (assorbire) dall'esterno quel suono che subito
dopo sarebbe dovuto uscire.
Ogni espressione comunicativa necessita di una fase di
trasmissione dei dati da parte della sorgente (il canto, la parola), seguita
da una fase di elaborazione e comprensione dei significati trasmessi da
parte del ricevente (il senso musicale, il concetto). L'equilibrio fra la
densità degli elementi di una partitura, che produce l'essenziale
opposizione di respiri e canti, e che in ultima analisi definisce la "forma"
della composizione, gioca un ruolo decisivo nella capacità comunicativa
dell'opera. Il respiro che precede il soffio creativo (il verbo) contiene
in sé tutta la potenza del suo atto, mentre il silenzio che ne segue
è l'unico atto possibile che ne permette l'espressione ed il completamento.
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3) Tu hai studiato musica elettronica
a Basel con Thomas Kessler, esperienza certo importante per te, tuttavia
a me pare tu faccia un uso costante ma allo stesso tempo molto limitato
del mezzo elettroacustico nelle tue composizioni. È questa una scelta
estetica?
Ho sempre pensato che il mezzo elettronico debba essere
uno degli strumenti del compositore attuale. Uno dei mezzi, come il contrappunto,
o la tecnica minimale, che però non deve essere l'unico mezzo espressivo,
né deve essere sempre presente in ogni lavoro (come del resto qualsiasi
altro mezzo). La strumentazione elettronica permette un lavoro molto profondo
sul suono, che può portare all'avvicinamento delle sue radici, ma
anche alla totale dispersione delle sue potenzialità comunicative
e musicali.
Dopo un periodo di avvicinamento a tutte le possibilità
tecniche ed espressive dell'elettronica musicale, avvenuto negli anni ottanta,
mi sono orientato decisamente per delle scelte che si accordavano con la
mia considerazione del senso musicale. Primo obbiettivo della musica è
per me la comunicazione, e questa può avvenire quando un uomo si
rivolge ad un altro uomo attraverso la musica. Per questo nelle mie musiche
l'elettronica è sempre un elemento vitale, quasi mai fissato su un
nastro, ma profondamente legato ai modi espressivi, ed ai suoni di strumenti
reali suonati dal vivo. Anche lo strumento elettronico deve avere il suo
interprete, e quindi la forma con la quale mi esprimo attraverso l'elettronica
è quasi sempre il "live electronic". Attualmente non trovo
interessante per la mia musica l'utilizzazione del suono sintetico. Anche
se continuo ad interessarmi degli sviluppi tecnici, sono convinto che il
valore di un suono naturale è immensamente più grande di quello
che si riesce a fare con gli strumenti attuali, e che passerà ancora
altro tempo prima che possiamo "creare" degli strumenti che generino
dei suoni sintetici con un valore musicale paragonabile a quelli naturali.
L'uso dell'elettronica dal vivo richiede d'altra parte
un grande dispiego di mezzi tecnici e una esperienza notevole: a causa di
questo vi sono normalmente poche occasioni dove si possono trovare le condizioni
di eseguibilità di musica con il live electronic con una garanzia
professionale di riuscita. Ho avuto la fortuna di essere ospite dello Studio
di Musica Elettronica di Basilea, che svolge una gran parte della sua attività
nel campo del live electronic (con i "Tage für live-elektronische
Musik Basel" di quest'anno sono arrivati alla settima edizione di questo
festival), dove ho potuto orientarmi decisamente verso le mie scelte attuali,
e ho veramente imparato molto.
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4) Esiste un lavoro di collaborazione
diretta, di interazione tra te, compositore e l'interprete/i delle tue musiche?
In questo caso in che modo si esprime?
Il rapporto fra il compositore e l'interprete è
sempre stato un punto importante nel processo compositivo, ma oggi è
più che mai essenziale che l'interprete prenda parte attiva al processo
creativo. Nei miei lavori meglio riusciti c'è alla base un lungo
lavoro interattivo fra me e l'interprete (per esempio il pezzo per chitarra
e live electronic "Tap" costituisce un modello di questa collaborazione).
Il primo passo è la conoscenza del futuro interprete: il suo background,
le sue capacità tecniche, i suoi gusti musicali, i suoi punti forti
e le sue carenze, le sue capacità improvvisative, il suo giudizio
su altri miei lavori precedenti, e poi ancora la sua reale capacità
di lasciarsi coinvolgere in un lavoro inizialmente ingrato, dove non si
vede la fine e si va avanti per intuito, la sua disponibilità a studiare
ed inventare nuove tecniche, il suo tempo Insomma una quantità di
fattori legati alla personalità dell'interprete ed alle condizioni
contingenti della creazione ed esecuzione del futuro pezzo di musica determinano
il modo con cui poi ci si mette a lavorare.
Il compositore deve trovare delle soluzioni reali fra una
sua idea di musica e tutte queste condizioni: non deve tanto "inventare"
nuova musica, ma deve saper "ascoltare" la musica esprimibile
dall'interprete e trovarle un modo di uscire qui sulla terra attraverso
di lui. Tutto questo richiede in ogni caso molto tempo e buona volontà,
ma soprattutto una flessibilità che permetta di rinunciare a una
parte delle proprie idee per lasciar spazio a idee dall'altro.
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5) Ho l'impressione che attraverso la
musica tu voglia - come direbbero i buddisti zen - "ritornare a casa".
Mi sembra di percepire in essa la tendenza tutta spirituale
verso un centro, tendenza che è soprattutto ricerca di quel centro
che la musica occidentale ha inesorabilmente "perduto" forse già
a partire dal primo barocco ma che poi, miracolosamente, era sembrato ritrovare
nei tentavi acustici (di creazione e di sperimentazione) degli anni post-Webern.
Penso a certi lavori di Stockhausen di Feldman, Cage, Maderna, Scelsi e
pochi altri. Ma oggi, e già da moltissimi decenni, siamo ritornati
indietro, il cosiddetto postmodernismo viene impropriamente applicato alla
musica volendo in questo modo inquadrare musiche che non hanno "anima",
musiche che sono revival (il neoromanticismo è solo un esempio),
musiche prodotte unicamente pensando alla possibile esecuzione. Cosa ne
dici tu?
Sono contento di trovare in te una sorta di "ascoltatore
ideale" della mia musica, nel senso che tu ci hai potuto trovare l'essenza
di quello che io ho cercato di fare. Un lungo lavoro di riflessione e di
indagine spirituale mi ha orientato nella formazione dei miei strumenti
compositivi. Alcuni degli autori che tu citi possono essere i miei maestri
ideali, che con la loro esperienza mi hanno aperto le strade che oggi percorro.
La "Musica" nel mio senso più profondo è (come per
Pitagora) l'armonia delle sfere, il suono dell'universo, l'eco di quel verbo
primordiale che col suo suono ha creato tutto, e il compositore non è
altro che un intermediario tra il mondo dove questa Musica suona (il Devachan,
secondo la filosofia induista) e la nostra terra. Secondo la filosofia antroposofica
(R. Steiner, L'essenza della musica) tutti gli uomini provengono da questo
mondo spirituale dove risuona l'armonia delle sfere, e ci torneranno quando
lasceranno la terra. Nel loro soggiorno terrestre vi ritornano però
ogni giorno, o meglio ogni notte, quando dormono nel sonno più profondo
senza sogni. Ogni giorno tutti non possiamo fare a meno di immergerci in
questa dimensione musicale/spirituale che ci ricarica e ci permette di vivere
sulla terra.
Tutti gli uomini riconoscono perciò molto bene il
valore di questa "Musica". Solo pochi hanno sviluppato una attitudine
particolare a "ricordare" un eco di questa armonia e quindi con
una tecnica adatta al tempo ed al luogo dove vivono a cercare di "materializzarla"
ed incarnarla in onde sonore. Il lavoro del compositore è quindi
quello di portare qui sulla terra, e nello stato di veglia, il ricordo di
quel mondo dove il nostro spirito ha dimorato prima di nascere in armonia
con l'universo, insomma giustamente come tu dici la musica così scritta
ci fa "ritornare a casa". Questo va al di sopra di tutte le mode
e correnti della storia della musica, e i compositori che riescono a farlo
scrivono "Musica".
Purtroppo le condizioni per le quali un compositore riesce
a esprimersi e a diffondere la sua opera dipendono minimamente dal reale
valore e dai contenuti di questa, così posso dire che nella situazione
attuale della musica occidentale il senso della mia musica così come
sopra è descritto non è nella corrente che domina la scena
culturale. Attualmente i valori che hanno spazio sono legati alla possibile
diffusione immediata (senza riflessione) dell'opera, primo dei quali la
"visibilità", la "spettacolarità" e "multimedialità",
nonché la vendibilità.
Vi sono poi dei tabù indotti dalla situazione socio/culturale,
che limitano la capacità di giudizio degli operatori culturali, i
quali sono poi quelli che in ultima analisi decidono chi e quando possa
salire sul palcoscenico, e che di fatto portano al rifiuto di tutti quei
lavori che anche implicitamente fanno riferimento ai valori spirituali della
musica, valori per me imprescindibili. Il risultato è che in questi
ultimi decenni i compositori hanno scritto sempre meno "Musica"
e sempre più note e suoni. Per dirla breve la capacità di
scrittura delle note musicali si è quindi sviluppata disgiunta dalla
capacità di scrivere musica, con uno squilibrio tutto a vantaggio
del tecnicismo e del virtuosismo.
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6) Che differenza c'è tra sentimento
e percezione nella tua musica?
Il sentimento e la percezione sono due fasi del processo
di comunicazione della (mia) musica. La percezione del suono e delle sue
qualità, è legata ad una strategia dialettica con la quale
questo viene proposto, e il risultato migliore che si può ottenere
è che questa percezione profonda risvegli il sentimento. Purtroppo
il sentimento fa parte di quei tabù che attualmente orientano negativamente
le scelte degli operatori musicali, per cui la musica che lo evoca è
spesso relegata al silenzio.
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7) A mio giudizio la musica che esprime
sentimenti (una parola che é limitata) è una musica di atmosfera,
di descrizione. La musica è forse l'arte in cui, più di ogni
altra, si annuncia l'utopia, l'incontro con il Sé.
Non é forse per questo che la musica si limita
a promettere: che noi non ci possediamo, non ci apparteniamo, e dobbiamo
ascoltarla per ascoltarci? È vero che la musica è l'ultima
delle arti, come sosteneva Nietzsche, ma perché è la più
giovane. È la più vicina all'uomo in quanto gli si è
da poco staccata, ed è anche la più lontana perché
dovrà percorrere la strada più lunga per tornare a lui.
La storia della musica diventa allora la storia di come
la nostra civiltà ha ascoltato il proprio Sé. Ma in questo
senso una storia periodizzabile della musica non esiste affatto.
La musica è il suono che noi creiamo perché
torni infinitamente a noi ed ha come meta il Sé nella forma dell'ascolto.
Genesi e Apocalisse, inizio e fine dei tempi la circoscrivono. L'ultimo
squillo di tromba di Giovanni si incarna così in quello che Beethoven
fa risuonare nel finale del Fidelio, e che ferma la mano assassina di Don
Pizarro perché ferma il tempo ed introduce i prigionieri liberati
alla namenlose Freude, alla gioia senza nome dell'incontro con il Sé.
Chiedo scusa per il pensare troppo astratto ma.. tu cosa pensi di questo?
Sento quanto affini sono i nostri modi di considerare la
musica. Trovo infatti che la mia visione spirituale della musica non è
che una variante di quello che presenti con il tuo "pensare tropo astratto".
L'incontro con il Sé può essere visto come l'incontro con
quella parte del nostro essere in contatto con il mondo dell'armonia delle
sfere, che poi è in fondo quello che riconosce la musica terrena
e la assimila a quella spirituale. È proprio per questo che nell'incontro
con questo Sé non possiamo più sentirci unità separata
dal tutto, ma parte di un qualcosa che ci contiene insieme al tutto. La
musica non è soltanto un'arte, ma è una forma di conoscenza
della natura, in particolare della natura umana, che secondo la concezione
antroposofica acquisterà nel futuro lo stesso valore che ha adesso
la Scienza e quello che ha avuto in era precedente la Religione.
Voglio provare ora a fare una proiezione fantascientifica
per rispondere alla tua riflessione sulla storia della musica come storia
di come l'umanità ascolta il proprio Sé. Pensando a cosa era
la scienza nei suoi rudimenti, quando era riservata a pochissimi sapienti
(per esempio Pitagora o Euripide), e come si è sviluppata e poi come
oggi ha cambiato la nostra realtà e la maniera di vivere, provo a
immaginare qualcosa di analogo per la musica. Come prima era inimmaginabile
il grandioso sviluppo che ha portato la scienza sulle vette più alte
dello scibile, così lo è oggi quello che avrà la musica
del futuro.
Per fare un esempio con un po' di fantasia, si può
forse immaginare un mondo fra mille o più anni dove la musica ha
un avrà una funzione sociale aperta ad altri campi che solo oggi
si intravedono, come la musicoterapia (per esempio una musica che evoca
un sentimento così grande da influenzare positivamente il recupero
di persone che hanno subito traumi), e ancora in una sua estensione nella
riabilitazione di persone che hanno compiuto crimini contro la società,
e chissà quant'altro! Quando la società si sarà rivolta
ad ascoltare il proprio Sé queste idee che oggi appaiono assurde
avranno forse un senso.
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8) Il "mondo" secondo Martin
Heidegger, viene evocato dalla parola poetica, nel suo quadruplice indirizzarsi
al cielo, alla terra, ai divini e ai mortali. L'unione delle cose e del
mondo è marcata dalla differenza tra loro (che Heidegger indica come
differenza per sottolinearne il carattere assoluto).
Ma questa differenza è una Chiamata, sulla quale
si fonda ogni chiamare operato dal linguaggio, e "il chiamare che la
Chiamata serba raccolto in sé, e il cui esplicarsi è appello
a raccolta presso la Chiamata, è il suono in quanto suono" (In
cammino verso il linguaggio). La Chiamata è il suono della quiete
che da essa è reso possibile, parla in quanto suono della quiete.
Il parlare è possibile solo nell'ascolto del
linguaggio, dice Heidegger, la musica può essere possibile solo nell'ascolto
del suono, del suono fisico e sensibile e del suono che permane nel linguaggio
senza assoggettarne l'essenza.
Ma chi produce questo suono?
Nasce dal Sé o ne è la condizione che
ne rende possibile la nascita? Non è un Sé psichico, né
autocoscienza singola o collettiva, no, bisogna aggiungere un altro aggettivo:
un Sé cosmico. È il tuo processo creativo inserito in questa
relazione?
Provo, se fosse possibile farlo con le parole, a dare una
traccia del mio processo creativo. All'origine sta un'idea che non è
suono, e non è collegata né a voci né a strumenti.
Questa essenza musicale, avanti a tutto è pensabile forse come la
"Chiamata" da te citata. Questa Chiamata, questo suono della quiete
è il primo punto del lavoro del compositore, e lui deve saperlo ascoltare.
Il primo livello della sua materializzazione è quindi la sua umanizzazione,
che viene ridotta concettualmente in un ciclo di metafore dei nostri sentimenti
e della nostra condizione umana quotidiana rispetto (come tu dici) all'unione
fra le cose ed il mondo. Dopo si cerca di individuare quei suoni e quei
gesti che possano rappresentare queste metafore nello svolgersi della loro
forma, e si considerano diversi organici e/o gesti interpretativi vocali
e strumentali. A questo punto, verificate le condizioni materiali che permettano
poi l'effettiva realizzazione dell'opera si può iniziare a scrivere.
Questa fase preliminare del processo creativo avviene lentamente
e spesso indipendentemente dalle reali occasioni che poi si incontrano nella
realtà. Quando queste poi si realizzano il compositore sceglie normalmente
di adattare il suo "canto interno", risultato di un precedente
lavoro sopra descritto, alla situazione attuale, e quindi di scrivere il
suono così progettato.
Il Sé, l'incontro con il Sé, la considerazione
del compositore sulle metafore del pensiero nella sua condizione umana,
sono le tracce che questo suono attraverso la sua forma descrive. Per rispondere
alle tue domande si può dire che il Sé, quando è ascoltato
dal compositore, rende possibile, nel senso che evoca la nascita di questo
suono. Questo Sé è giustamente un Sé cosmico perché
non può essere riferito ad un uomo in quanto TUTTI e forse TUTTO
vi è incluso.
<Sento di nuovo quanto finemente il tuo senso della musica è
vicino al mio, ma non so se la pubblicazione di questo testo risulti intelligibile
a quelli che lo leggeranno>
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9) Gli uomini non fanno musica solo
per ascoltare il loro Sé ma anche per rispondere all'appello del
suono.
L'uomo è delimitato dall'infinito: esso quindi
lo forma. Gli è di confine. Ma ciò che è di confine
appartiene sia a ciò che confina sia a ciò che è confinato.
Quindi l'uomo è l'infinito.
Cosicché l'infinito (macrocosmo) è il
simbolo dell'uomo e l'uomo (microcosmo) è simbolo dell'infinito.
Il merito della musica è il suo paradossale accadere:
è lingua del rumore, quindi del non-linguistico, e non-lingua del
linguaggio.
"- Il non-significato della musica- ha scritto
Pierre Boulez - è irrimediabilmente la nostra forza specifica; non
perderemo mai di vista che l'ordine del fenomeno sonoro è primordiale:
vivere quest'ordine è l'essenza stessa della musica -" (Pensare
la musica oggi). Sei d'accordo con lui?
Il concetto della musica dove "l'ordine del fenomeno
sonoro è primordiale", e il suo "non-significato è
irrimediabilmente la sua forza specifica", è una interpretazione
che pone il fenomeno musicale al di fuori delle categorie ordinarie della
nostra vita, in una relazione diretta con la nostra più profonda
essenza umana. Sul "non-significato" della musica vorrei però
aggiungere qualcosa.
Si è dibattuto lungamente sul significato della
musica, e su tutti i possibili raffronti fra i linguaggi naturali di comunicazione
dell'uomo e i linguaggi musicali. Il significato come fatto cognitivo della
musica (per me) esiste, ed è determinato dalla sua forma, a differenza
del valore cognitivo delle lingue naturali che si rifanno ad un codice predefinito
a priori (dizionario). Questa facoltà di possedere un significato
distingue il fenomeno sonoro della musica da ogni altra forma logica di
successione di suoni, come per esempio i suoni della natura. L'organizzazione
del rumore all'interno del linguaggio musicale, come la disintegrazione
di un testo letterario a favore di un risultato musicale dei suoni dei suoi
fonemi sono due aspetti di questo paradosso che descrivi come "lingua
del rumore, quindi del non linguistico, e non-lingua del linguaggio".
La possibilità che porta una successione di suoni
organizzati ad avere (e di conseguenza a poter esprimere) un valore cognitivo,
è legata alla loro costruzione formale entro un sistema autoreferente
di grandezze temporali ed energetiche, dove i singoli elementi mostrano
una chiara capacità di essere percepiti come entità opponibili
o meglio detto distinguibili. Il processo che poi porta questo significato
ad entrare e raggiungere il profondo della coscienza umana, è ricondotto
alla percezione della metafora che lega gli elementi distinti che costituiscono
la musica (che scandiscono il fluire del tempo esterno in una molteplice
relazione di proporzioni) con la coscienza di chi la percepisce. Il tempo
della relazione "Musicale" percepibile dall'esterno con il nostro
udito, deve avere una struttura formale assimilabile al flusso della successione
di emozioni all'interno della nostra coscienza, scandito della memoria umana
come il tempo interno, in modo da lasciare immedesimare la coscienza con
questo flusso esterno fino quasi ad identificarsene.
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10) Così più che interpretata
la musica va forse percorsa; percorsa come via al Sé simbolico, lungo
il confine tra principio di individuazione e totalità dionisiaca,
vicinissima ad entrambi e da entrambi sempre da ritrovare.
Essa rimanda alle totalità complementari del
linguaggio e del non-linguaggio, dell'anima individuale e del cosmo. Svela
la dimensione non linguistica del linguaggio e la dimensione cosmica del
soggetto dentro il quale risuona.
Anche per questo la musica è universale, incontrastata
dominatrice del paesaggio sonoro dell'era della comunicazione dei linguaggi.
Per questo è universalmente prodotta, diffusa, cercata, amata, consumata.
Essa è necessaria.
Qual´é il tuo rapporto con il suono, il
rumore anche -prima- che questi si faccia musicale?
Il suono che mi circonda, della città, della natura,
della gente, delle prove di un gruppo di musicisti, come del resto il suono
di un concerto mi affascinano sempre. Credo di avere un rapporto molto stretto
con il suono in generale, che si esprime poi attraverso la mia esperienza
compositiva. Ho però ancora tante cose incompiute che vorrei realizzare
con questo: da almeno 5 o 6 anni ho infatti collezionato una quantità
di suoni (o rumori?) della natura e della gente della mia terra natia, e
penso sempre che vorrei comporre un poema sonoro che trasporti l'ascoltatore
in un viaggio immaginario fra le onde del mare, gli uccelli, le feste di
paese, e tante altre cose suggestive che animano la voce della mia terra.
Già ho fatto in piccolo qualcosa di simile per sonorizzare alcune
scene di opere coreografiche, ma sarei felice di rimettermi al lavoro, e
forse trovare degli strumenti della musica elettronica che soddisfino le
mie esigenze fino a creare un nuovo lavoro di musica concreta e sintetica.
Quando cerco il suono/rumore per la mia musica, sia che
sia a "caccia" con microfono e registratore, sia che stia facendo
una prova con un interprete, cerco di assorbirlo come se già fosse
musica, per appropriarmene e sentirlo come già parte della mia opera.
La ricchezza di questo suono è sempre immensa, e la sua imprendibilità
si manifesta a me ogni volta con un nuovo volto.
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11) Come al tempo dei sacrifici vedici
doveva la musica rendere lode agli Dei creatori per ristabilire l'equilibrio
che il loro sacrificio aveva turbato, così oggi essa costituisce
un gigantesco dispensatore di non-senso, un miracoloso dispositivo riequilibratore
della disseminazione forsennata di messaggi, informazioni, notizie e ordine
che "creano" e tengono in vita il tessuto della nostra civiltà.
Ogni decisione estetica o politica che la coinvolga deve tener conto in
primo luogo di quale è l'ecologia culturale che tale decisione verrà
a turbare.
Ma la musica, come già altre volte, eserciterà
la sua funzione più profonda dove meno la si aspettava, dove sembrava
impossibile ricondurla al significato.
Le è stata concessa una grazia inalienabile:
attenderci nel luogo in cui, come ha meravigliosamente scritto Paul Celan
in una delle sue ultime poesie:
Per un non-
segno
tu sei più avanti
di tutti
loro.
Dopo tutta questa profonda apertura delle nostre anime,
non voglio aggiungere altro (tra l'altro in questa undicesima domanda manca
il punto di domanda!). Anzi ti chiedo di togliere, di sfoltire e di raffinare
(se questo non si potesse forse basterebbe stralciare) tutto quello che
ho scritto, perché attraverso la tua esperienza di pubblicista si
trasformi in un qualcosa di fruibile per il lettore che ci metterà
gli occhi sopra.
Con tanti cari saluti
Giorgio
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